Affari legali

AFFARI LEGALI. Revoca dell’assegno di invalidità

Colpevoli di essere sulla via della guarigione

Non capita così raramente di leggere sui giornali o di apprendere in diversi modi che a persone colpite da importanti patologie, poi regredite, venga revocato il diritto a percepire l’assegno ordinario di invalidità a suo tempo riconosciuto.

La normativa in vigore infatti, prevede che il titolare di tale beneficio possa essere sottoposto ad accertamenti sanitari per la revisione dello stato di invalidità (o di inabilità) su iniziativa personale o dell’istituto previdenziale.

Presupposto per il conseguimento del diritto a percepire un assegno, è che la capacità lavorativa, in occupazioni confacenti alle proprie abitudini, sia ridotta in modo permanente a meno di un terzo.

Il problema sta nel fatto che moltissime persone colpite dalle malattie più disparate, pur essendo riuscite a scampare alla morte, hanno subito, oltre ad un generale indebolimento fisico e a un indubbio trauma dal punto di vista psicologico, anche un cambiamento radicale del proprio stile di vita.

Invero, non tutti hanno la fortuna ad esempio di poter continuare a svolgere il proprio lavoro, neppure quando la malattia sembra essere regredita. Non è così insolito nemmeno che dinnanzi a tragedie simili si incrinino perfino i rapporti affettivi, tant’è che molte separazioni tra coniugi paradossalmente sono conseguenti proprio all’insorgere di patologie invalidanti di uno dei due.

Nasce così il drammatico problema di chi si ritrova a stare, magari, sì un po’ meglio, ma senza un lavoro e con una strada in salita per riacquistare un briciolo della forza fisica un tempo posseduta, quando gli viene tolto, a seguito di una visita volta alla revisione dello stato d’invalidità, l’unico mezzo di sostentamento di cui disponga.

Si evidenzia come, secondo quanto previsto dall’art. 1 L. n° 222/1984, con l’espressione “occupazione confacente”, nella lettura data dalla recente giurisprudenza, debba intendersi quella che l’assicurato, per le sue abitudini, è in grado di espletare, tenuto conto anche delle proprie inclinazioni naturali, avendo riguardo della sua residua capacità lavorativa, senza sforzo o fatica eccessivi, ma anche senza essere costretto ad affrontare un lungo percorso di riqualificazione. In particolare, la Suprema Corte, con pronuncia n.20977 dell’ 8.09.2017, ha ritenuto che, ai fini dell’accertamento dell’invalidità sia dunque necessario “considerare le condizioni del soggetto protetto, tenendo conto dell’età e della sua formazione professionale, in modo da valutare la sua possibilità di continuare nelle mansioni in concreto svolte o di svolgere attività diverse che costituiscano una naturale estrinsecazione delle sue abitudini, sempre che non si tratti di lavori usuranti, che affrettino o accentuino il logoramento dell’organismo”.

La Cassazione ha altresì avuto modo di puntualizzare a riguardo come, la sussistenza del requisito posto dall’art. 1 L. n° 222/1984, concernente la riduzione a meno di 1/3 della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue abitudini, debba “essere verificata in riferimento non solo alle attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall’assicurato (e nel corso delle quali si è manifestato l’evento patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, non presentino una rilevante divaricazione rispetto al lavoro precedente”.

Ciò significa che non sempre, sebbene la malattia da cui un soggetto è stato travolto abbia avuto un regresso, si possa affermare che realmente la sua capacità lavorativa non sia più ridotta a meno di un terzo.

Si sottolinea a questo proposito, non nell’intento di alimentare una sterile polemica, bensì di portare alla luce una problematica seria e quanto mai attuale, come l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale sia sempre più spesso sotto i riflettori proprio perché tende a non tenere nella giusta considerazione i drammatici strascichi che alcune gravi malattie, tra cui ad esempio il cancro, lasciano nei malcapitati pazienti.

Persino nei casi più fortunati, infatti, quando il malato riesce con le unghie e con i denti a rimanere vivo, il necessario ricorso a cure come quelle chemio e radio-terapiche traccia in queste persone solchi la cui profondità è difficilmente descrivibile a parole.

E non ci si riferisce meramente alla sfera emotiva, ma anche a quella prettamente fisica: è indubbio che l’aggressività delle terapie citate non si limiti a debellare le cellule malate, ma provochi altresì forti squilibri interessanti il funzionamento dell’intero, complesso sistema che regola il corpo umano.

Nulla è più come prima nemmeno se si sopravvive a determinate patologie, questo è certo. Bisognerebbe ricordarlo ogniqualvolta di debba decidere se revocare o meno il diritto alla percezione di un assegno – peraltro non certo economicamente risolutivo, soprattutto per tutti coloro il cui nucleo familiare è unipersonale – a chi ne sia stato colpito e ancora stia cercando di capire se e come sia possibile riprendere in mano la propria vita.

Roberta Romeo

Studio legale EGIDI
Via Lomellina, 31 – MILANO –
Tel. 02.28381582

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo

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