Storia

IL CASO MORO. I comitati di crisi

Inutili strutture volute da Francesco Cossiga

Nella gestione della crisi data dal sequestro di Aldo Moro, l’allora Ministro degli Interni Francesco Cossiga, volle istituire due comitati di crisi, varati il 16 marzo del 1978. In realtà però, i comitati erano tre.

Il primo, un comitato di ordine tecnico, politico ed operativo, era presieduto direttamente da Cossiga che nominò come suo vice, Nicola Lettieri. A farne parte, i vertici della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Con loro, i dirigenti dei Servizi di informazione, SISMI e SISDE, oltre al Segretario Generale del CESIS, al Direttore dell’UCIGOS ed al Questore della Capitale.

Il secondo, era sostanzialmente rappresentato dai Servizi Segreti: CESIS, SISDE, SISMI e SIOS.

Come detto, i comitati erano in realtà tre. Il terzo, definito ‘comitato di esperti’, non ebbe mai una sua ufficializzazione e non riuscì mai a riunirsi ufficialmente. Nessuno, se non i diretti interessati, ne conosceva l’esistenza: un silenzio mantenuto sino al maggio del 1981. Fu solo allora che Cossiga, deponendo alla Commissione Moro, ne parlò ma solo fino ad un certo punto. Non si riuscì mai a capire con precisione quali fossero i suoi compiti e come si muoveva. A farne parte, il criminologo Franco Ferracuti; Stefano Silvestri; il Direttore generale dell’Istituto per l’Enciclopedia Italiana Vincenzo Cappelletti; Giulia Conte Micheli e Steve Pieczenik, funzionario dell’Antiterrorismo del Dipartimento di Stato americano: quest’ultimo, figura piuttosto controversa della quale ci occuperemo in un capitolo a parte.

Se mai ci fu l’istituzione di organismi inutili, fu indubbiamente questo il caso dei comitati di crisi. Paralizzati da strumenti arcaici per quanto afferente alla gestione dell’emergenza terrorismo. Basti dire che gli strumenti legislativi con i quali operavano, risalivano agli anni Cinquanta e da allora rimasti invariati. I Servizi Segreti erano quindi del tutto inadeguati alla gestione del sequestro dello statista democristiano, anche perché la riforma del 1977, aveva di fatto smembrato le strutture ed eliminato i dirigenti di maggior valore. A tutto questo si aggiungeva una certa disinvoltura nel concedere permessi-premio ai detenuti, cosa che contribuiva a diffondere un clima di sconforto nell’opinione pubblica che si sentiva sempre meno tutelata dallo Stato ed in certi casi, cominciava a guardare con spirito di comprensione, l’azione eversiva. Questo sentimento era corroborato anche da quanto succedeva nelle aule di Giustizia, quando gli autori di azioni terroristiche, non di rado beneficiavano di attenuanti date dall’aver agito “per motivi di particolare valore morale e sociale”. Da parte del potere giudiziario dello Stato, c’era una vera e propria sottovalutazione della pericolosità di queste organizzazioni terroristiche. Ad esempio, Prima Linea, era ritenuta semplicemente un’ ‘associazione sovversiva’, quando in realtà era a tutti gli effetti una banda armata.

In questo atteggiamento superficiale andava a contestualizzarsi la posizione dell’ala romana di Magistratura Democratica che non aveva alcuna difficoltà a palesare una certa simpatia nei confronti dei rivoluzionari, generando frizioni con lo Stato. In quest’ambito si collocano le affermazioni quantomeno discutibili del politologo Giorgio Galli che arrivò ad identificare il terrorismo come “un fenomeno storico comprensibile (anche se non giustificabile) in una fase di trasformazione sociale ostacolata da una classe politica corrotta”.

Antonio Marino

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Antonio Marino

Cinquantunenne ma con lo spirito da eterno ragazzo. Adoro la compagnia degli amici con la 'A' maiuscola, la buona tavola e le buone birre. Appassionato di politica ma quella con la 'P' maiuscola, sposato più che felicemente. Difetti: sono pignolo. Pregi: sono pignolo

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