Storia

Quintino Sella, il Ministro che salvò l’Italia dal dissesto finanziario

Le capacità ed il rigore morale di un grande politico della Destra storica

Leggendo i giornali ed ascoltando i notiziari in televisione, si sente continuamente parlare di “deficit” dei conti pubblici, ovvero quella condizione che si verifica quando le uscite dello Stato superano le entrate. Tale condizione può essere realizzata volutamente, nel senso che i governi possono attuare politiche di bilancio che determinano la crescita del deficit per l’aumento della spesa pubblica e la diminuzione delle tasse, il tutto al fine di favorire la crescita economica e lo sviluppo. Politiche economiche opposte, ovvero improntate alla riduzione della spesa e all’aumento delle tasse, portano invece alla diminuzione del deficit potendo anche arrivare a quello che si chiama il “pareggio di bilancio”, che si ottiene quando lo Stato incassa esattamente quanto spende. Guardando ai numeri del debito pubblico italiano di oggi, sembra inverosimile che qualcuno possa aver mai raggiunto l’obiettivo di risanare il deficit ed arrivare al pareggio, ma nel periodo immediatamente post unitario ci si arrivò; ad ottenere questo storico traguardo fu quello che è passato alla storia come uno dei più grandi ministri delle finanze in Italia: Quintino Sella.

Il futuro ministro nacque a Mosso, nel Biellese, il 7 luglio del 1827 in una famiglia di imprenditori del settore tessile. Quintino si laureò in ingegneria nel 1847, iniziando la carriera di docente e dedicandosi allo studio della mineralogia, disciplina per la quale coltiverà una vera e propria passione per tutta la vita; grande alpinista, sarà poi il fondatore del Club Alpino Italiano nel 1863 (ancora oggi molti rifugi alpini sono dedicati a lui e ne portano il nome). Nel 1860 iniziò la carriera politica venendo eletto deputato tra le fila della destra storica, ovvero quello schieramento di moderati che governò prima il Regno di Sardegna e poi il Regno d’Italia fino al 1876, e che vide tra i propri ranghi personaggi del calibro di Massimo d’Azeglio, il Conte di Cavour e Bettino Ricasoli. Il primo incarico di governo fu nel 1862, quando Sella assunse la direzione del Ministero delle Finanze nel governo Rattazzi ; sarà ministro per altre tre volte, sempre alle finanze.

Sono gli anni difficilissimi dell’Italia appena unificata, che vedeva la minaccia delle potenze ostili che avrebbero voluto rimettere sul trono i vecchi sovrani, il brigantaggio che stava mettendo a dura prova l’esercito regio nel meridione, ed una situazione della finanza pubblica a dir poco disastrosa a causa della voragine del debito pubblico. Insomma, il momento era cruciale e lo era anche in materia di finanze, perché se non si fosse riusciti ad evitare il dissesto economico che andava profilandosi, l’Italia non avrebbe mai potuto dirsi realmente indipendente, dato che all’indipendenza politica appena raggiunta avrebbe fatto seguito la dipendenza economica propria dei pesi economicamente deboli: fatta l’Italia politica, bisognava fare quella economico-finanziaria, e sui numeri del Ministero delle Finanze guidato da Sella si giocava il futuro delle successive generazioni di italiani. L’impresa era però titanica, dato che si rendeva necessario raggiungere il pareggio di bilancio (che come abbiamo visto richiede l’aumento delle tasse e la diminuzione della spesa), e nello stesso tempo investire in tutto ciò di cui la nuova Italia unita necessitava, ovvero le infrastrutture, l’istruzione pubblica e la crescita economica. Tanto per snocciolare qualche numero, i sette stati preunitari avevano incassato in totale nel 1860 (ovvero fino a quando fu raggiunta l’unità e quindi furono unificate le sette finanze preunitarie) meno di 500 milioni di lire, mentre al nuovo Stato ne occorrevano almeno il doppio. E gli investimenti (ovvero le spese) non potevano aspettare: bisognava potenziare le ferrovie, dato che la rete ferroviaria italiana era di appena 1.800 chilometri (le grandi nazioni europee vantavano reti ferroviarie da 8 a 10 volte superiori); era necessario investire nella scuola, visto che in Italia l’analfabetismo toccava il 75% della popolazione (negli altri stati europei andava dal 10 al 30%); e a causa della situazione internazionale non si potevano ridurre più di tanto le spese militari.

Vediamo quindi come il nostro ingegnere biellese riuscì a mettere mano a quella difficilissima situazione.

Il provvedimento fiscale che rese famoso Sella, e che gli costò l’impopolarità, fu la famosa tassa sul macinato, un’imposta che andava a colpire pesantemente i ceti meno abbienti (in realtà la nuova tassa fu varata quando il ministero non era retto da Sella, ma il suo concorso e il deciso sostegno che questi diede al provvedimento fece si che venisse associata al suo nome). Ma vediamo nello specifico. La tassa entrò in vigore il 1° gennaio del 1869, ed il calcolo della cifra da pagare veniva fatto in base ad un congegno meccanico che, applicato alle macine usate per trasformare il grano e gli altri cereali nelle rispettive farine, calcolava l’imposta in base al numero di giri delle macine stesse; il mugnaio versava la conseguente quota all’erario statale e si faceva rimborsare da chi si recava al suo mulino per macinare i cereali. Le tariffe poi variavano a seconda del prodotto in questione, prevedendo una tassazione minore per i cereali più “poveri” come granturco, segale e avena. La conseguenza più immediata del provvedimento fu, in definitiva, l’aumento del prezzo del pane, in un’epoca in cui di altro si mangiava ben poco.

In realtà però, l’opera di risanamento del ministro Sella andò ben oltre la sola tassa sul macinato. Intanto fu fatta una revisione della spesa che portò alla drastica diminuzione delle voci improduttive, venne diminuito il numero di uffici pubblici, furono venduti i beni ecclesiastici confiscati, vi fu un deciso aumento della tassazione sui titoli del debito pubblico (allora in mano ai più abbienti), fu aumentata la tassa di successione, venne incrementata la tassazione sulle rendite finanziaria ed agricola, furono aumentati i poteri di accertamento degli organi competenti (per far pagare le tasse a chi doveva). Da questi ultimi provvedimenti poi, si deduce come l’immagine di un Sella che si accaniva contro le masse, sulle quali poneva il fardello di provvedere al risanamento dei conti dello Stato, non corrispose alla realtà dei fatti: la tassa sul macinato gravava, è vero, sui ceti meno abbienti, ma furono anche aumentate le tasse ai più ricchi.

Insomma, i provvedimenti fiscali di Quintino Sella furono si pesanti ed impopolari (non mancarono le proteste, che degenerarono in violenti scontri di piazza con parecchi morti e feriti), ma furono anche improntati ad un criterio di giustizia ed equità fiscale, attraverso la quale si arrivò al pareggio di bilancio che fu annunciato alla Camera dal successore di Sella, Marco Minghetti, il 16 marzo del 1876. La tassa sul macinato verrà poi definitivamente soppressa nel 1884 da un governo Depretis.

Il nostro ministro delle finanze fu anche una persona di assoluta onestà e rigore morale, tanto che impose a suo fratello Giuseppe, che guidava il lanificio di famiglia, di non sottoscrivere alcun contratto di fornitura statale fintanto che egli fosse rimasto ministro, onde non incappare nel conflitto di interessi.

In conclusione, possiamo dire che Quintino Sella ebbe il grande merito di aver salvato l’Italia dal baratro economico-finanziario che andava profilandosi ad unità appena raggiunta, e che rischiava di far crollare il delicato edificio che i padri risorgimentali erano riusciti a costruire.

Marco Ammendola

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Marco Amendola

Anche se faccio tutt'altro lavoro, sono da sempre appassionato di storia, un romanzo talmente avvincente che non necessita di un finale a sorpresa
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