Affari legali

AFFARI LEGALI. Inefficacia ed inesistenza dei negozi giuridici

Un contratto nullo o annullabile è suscettibile a non produrre più gli effetti cui è preordinato

Nell’ultimo articolo si era parlato dei casi di invalidità del testamento, rimandando ad oggi la trattazione inerente la distinzione tra inefficacia ed inesistenza dei negozi giuridici in generale.

Accanto alle due più note categorie di “vizi” dei negozi giuridici, ossia la nullità e l’annullabilità, ve ne sono altre due di cui si parla spesso in modo sommario, quasi a voler dare loro solo un’importanza residuale nella moderna dogmatica giuridica. Parliamo appunto dell’inefficacia e dell’inesistenza.

Va detto preliminarmente che, a ben vedere, nessuna di queste due categorie può identificarsi totalmente sotto il genus “vizi” del negozio giuridico: quanto all’inefficacia, determinati vizi possono ben costituire, come vedremo, una caratteristica del tutto fisiologica in concreto di talune fattispecie negoziali mentre con riferimento all’inesistenza, si può addirittura affermare che la relativa nozione sia inconciliabile con quella di “vizio”, posto che la seconda presuppone logicamente che un negozio giuridico esista, ancorché affetto da anomalie più o meno gravi.

Passando all’esame in dettaglio, appare chiaro che il concetto di “inefficacia”, più che agli elementi costitutivi del negozio sul piano ontologico, si ricolleghi alla sua idoneità a produrre in concreto modificazioni di situazioni giuridiche oggettive o soggettive, nel senso voluto (o magari anche non voluto) da chi lo ponga in essere. Ed è indubbio che un contratto nullo o annullabile sia suscettibile di non produrre o non produrre più gli effetti cui è preordinato, ed in questo caso si parla di inefficacia in senso stretto.

Tuttavia – ed è per questo che le categorie inefficacia, da una parte, ed annullabilità e nullità, dall’altra, non si identificano – è possibile concepire un negozio giuridico pienamente valido, cioè non nullo, né annullabile, ma che sia o divenga successivamente per altre ragioni improduttivo di effetti. Classica ipotesi, sotto tale ultimo profilo è quella dei negozi sottoposti a condizione, la cui capacità di incidere su certe situazioni giuridiche viene inibita (condizione sospensiva) fino al verificarsi di un determinato evento non certo, ovvero cessa (condizione risolutiva) al suo avverarsi . Situazione analoga si verifica per le ipotesi in cui l’atto negoziale sia sottoposto a termine iniziale o finale, salva la differenza che, in questi casi, l’evento determinante – in senso inibitorio o interruttivo – è certo, poiché si identifica col mero ed inevitabile trascorrere del tempo. In entrambi i gruppi di ipotesi, quello del negozio sotto condizione o quello del negozio sottoposto a termine, la dottrina parla di inefficacia in senso lato.

Vi è poi un’ulteriore ipotesi di negozi validi ma improduttivi di effetti, laddove i limiti dell’efficacia siano individuati sul piano soggettivo: è la cosiddetta inopponibilità, intesa come l’impossibilità di un determinato atto di produrre alcuni dei suoi effetti, che normalmente ad esso dovrebbero sempre conseguire, nei confronti di particolari categorie di soggetti.

E’ questa, essenzialmente, la fattispecie delle inopponibilità a terzi del negozio: è tipico l’esempio di tutti gli atti di disposizione patrimoniale concernenti beni immobili, che non vengano trascritti negli appositi registri di pubblicità, i quali restano privi di qualsivoglia effetto nei confronti di soggetti rimasti ignari della loro esistenza e, quindi, necessariamente estranei alle loro vicende.

Passando poi alla seconda categoria che ci si è proposti di esaminare, l’inesistenza, giova segnalare come essa sia peraltro misconosciuta da una parte consistente della dottrina, la quale, partendo dal presupposto per cui l’atto nullo, per le gravi anomalie che lo denotano, non sia suscettibile di produrre ab origine alcun reale effetto nel mondo del diritto, la fa coincidere in ultima analisi con la nullità.

Senonché a questa concezione, diciamo “pragmatica”, della categoria in discussione, se ne contrappone un’altra secondo cui, al contrario, è comunque fattibile una distinzione fra i due concetti. L’impostazione di cui si disquisisce individua infatti nel negozio nullo quello in cui, pur in presenza di gravi e radicali anomalie afferenti i suoi elementi costitutivi, vi sia la possibilità che esso possa produrre un qualche genere di effetto, attesa la presenza di un’effettiva manifestazione di volontà diretta alla produzione di mutamenti in una o più situazioni giuridiche, seppure in modo provvisorio; a dimostrazione di ciò, gli assertori di questa teoria portano ad esempio l’ipotesi, contemplata nel nostro ordinamento, della “conversione del contratto nullo” (art. 1424 C.C.), in cui una pattuizione contrattuale affetta da nullità, possa convertirsi in un’ altra di diversa natura, pienamente valida, di cui invece possegga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse l’avrebbero utilizzata ove fossero stati a conoscenza della nullità.

Ad ulteriore riprova di questa teoria, il fatto che il negozio nullo possa essere, a determinate condizioni, sanato ed eventualmente trascritto oltre a produrre effetti, seppur a titolo provvisorio ed in certi casi, fino a che la sua nullità non sia giudizialmente accertata.

Differentemente, sempre seguendo l’orientamento in parola, il negozio inesistente sarebbe invece caratterizzato dall’assenza dei requisiti ancorché minimi per poterlo considerare come tale sul piano ontologico-giuridico. L’ipotesi di scuola più nota è il negozio concluso “ioci causa” (per scherzo, o con mero scopo rappresentativo), o quello posto in essere “docendi causa”, cioè in cui lo schema negoziale si manifesta nella realtà fisica da parte di un soggetto, in ambito didattico.

Sembrerà assurdo, ma quest’ultima è l’ipotesi in cui, per esempio, un insegnante stili un testamento con il solo obiettivo di far comprendere agli alunni come redigerlo in modo corretto.

Questa seconda impostazione, che riconosce vita propria all’inesistenza del negozio giuridico, risulta peraltro essere quella accolta dalla giurisprudenza e da una parte maggioritaria della dottrina e, nonostante tutto, si dimostra essere per certi versi la più aderente alla realtà.

Roberta Romeo

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